Com’è difficile la meritocrazia
Vi sono, oggi in Italia, 4.700 iscritti al Consiglio nazionale del Notariato e 16.000 farmacie private. Ma anche 80.000 architetti, 135.000 avvocati, 40.000 dottori commercialisti), e si potrebbe continuare enumerando altre libere professioni, i giornalisti, i tassisti, gli stessi docenti universitari. Se si va aldilà delle cifre–comunque ingenti – si vede che dietro della contabilità troviamo un mondo segnato da scarsa mobilità sociale. Quella che c’è è fondata su criteri per lo più non meritocratici ma che affondano le loro radici nel solco «ereditario» delle tradizioni familiari. D’altronde,«Padri e figli, stesso lavoro» ha scritto con efficacia Dario Di Vico nella bella inchiesta condotta lo scorso anno sul «Corriere della Sera». Ma ammesso e non concesso che, con un colpo di bacchetta magica l’Italia riuscisse davvero nell’intento di liberalizzare e rendere più competitivo l’accesso a queste professioni (fatto di per sé positivo), potrebbe dire di avere con ciò completamente risolto i suoi problemi di scarsa – per non dire assente — mobilità sociale, consentendo così finalmente al merito di salire sugli altari? O siamo di fronte a un gigantesco problema che, a sua volta, svela i contorni di ulteriori riforme economiche e sociali da attuare? Insomma, l’apertura in senso orizzontale di molte professioni è garanzia di per sédi un accrescimento qualitativo dell’intero sistema sociale pure in senso verticale? O serve anche altro?…Leggi tutto l’articolo.